Dal punto di vista giuridico chi ha subito un danno cagionato da un medico o da altro personale sanitario nell’esercizio delle proprie funzioni può ricorrere in Tribunale per ottenerne il risarcimento, citando in giudizio i medici e i responsabili dell’illecito.
Diritto all’autodeterminazione
Tra le voci di danno risarcibili la giurisprudenza ha inserito la violazione del diritto all’autodeterminazione del paziente, cui non sia stata diagnosticata una malattia terminale o uno stato morboso che ha poi portato alla morte dello stesso.
In diverse occasioni la Corte di Cassazione si è occupata di ricorsi presentati dagli eredi di persone decedute a seguito di malattie gravi non diagnosticate dal personale medico curante.
Il principio consolidato è che la violazione del diritto di determinarsi liberamente nella scelta dei propri percorsi esistenziali, in una condizione di vita affetta da patologie a esito certamente infausto, coincide con la lesione di un bene di per sé autonomamente apprezzabile sul piano sostanziale, tale da non richiedere, una volta attestato il colpevole ritardo diagnostico della condizione patologica, l'assolvimento di alcun ulteriore onere di allegazione argomentativa o probatoria, potendo giustificare una condanna al risarcimento del danno con liquidazione equitativa (in tal senso Cass. n. 7260/2018 e Cass. 27682/2021).
Prova del danno
Ciò significa che, una volta accertata l’omissione o l’errore da parte dei sanitari, relativamente alla diagnosi di una patologia grave che conduce alla morte, non è necessario dimostrare in cosa consista il danno, laddove l’errore abbia impedito al paziente di porre in atto le sue ultime scelte, anche facendo ricorso alle cure palliative.
In un recente caso esaminato dalla Cassazione, nell’ordinanza n. 27682/2021, gli eredi di una donna cui non era stata diagnosticata una linfoadenopatia avanzata che l’aveva condotta alla morte, avevano citato in giudizio la struttura ospedaliera e i medici che l’avevano visitata per essere risarciti dei danni causati dalla perdita della congiunta, nonché del danno alla salute derivato alla medesima.
La Corte, nell’accogliere sul punto il ricorso degli eredi, precisa che, in caso di colpevole ritardo nella diagnosi di patologie a esito infausto, l'area dei danni risarcibili non si esaurisce nel pregiudizio recato all'integrità fisica del paziente, né nella perdita di "chance" di guarigione, ma include la perdita di un "ventaglio" di opzioni con le quali scegliere come affrontare l'ultimo tratto del proprio percorso di vita.
Scelta del percorso finale della vita
Ciò determina la lesione di un bene reale, certo - sul piano sostanziale - ed effettivo, apprezzabile con immediatezza, qual è il diritto di determinarsi liberamente nella scelta dei propri percorsi esistenziali; in tale prospettiva, il diritto di autodeterminarsi riceve positivo riconoscimento e protezione non solo mediante il ricorso a trattamenti lenitivi degli effetti di patologie non più reversibili, ovvero, all'opposto, mediante la predeterminazione di un percorso che porti a contenerne la durata, ma anche attraverso la mera accettazione della propria condizione.
A tal proposito si ricorda che la legge n. 219 del 22.12.2017, contenente "Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento", prevede all’art. 2 l’obbligo per i medici, in presenza di pazienti con malattie in fase terminale o gravi sofferenze, di somministrare le cure palliative contro il dolore di cui alla legge 15 marzo 2010, n. 38.
La mancata o scorretta diagnosi di una malattia grave che conduce alla morte, in conclusione, impedendo al malato di scegliere come affrontare la fase finale della propria esistenza e a quali cure sottoporsi determina una danno, risarcibile in via equitativa in favore degli eredi.