In ambito medico-sanitario i principi che regolano la responsabilità civile del medico nell’esercizio delle sue funzioni, nonché della struttura sanitaria all’interno della quale ha svolto la propria opera, sono innanzitutto quelli generali, contenuti nel codice civile, che regolano i rapporti obbligatori e la responsabilità per i danni cagionati a terzi.
DILIGENZA PROFESSIONALE
Si consideri, in primo luogo, l’art. 1176 c.c., che, nel porre come criterio generale nell’adempimento delle obbligazioni la diligenza del buon padre di famiglia, per le obbligazioni inerenti l’esercizio di un’attività professionale richiede una diligenza “qualificata”, cioè superiore alla media e rapportata alle competenze specifiche necessarie alla professione.
La conseguenza è che il professionista risponde dei danni provocati, oltre che per dolo e colpa grave, anche per negligenza, imprudenza e colpa lieve, attesa la specifica preparazione e conoscenza della materia che egli deve avere.
CASI DI PARTICOLARE DIFFICOLTA’
La legge, tuttavia, prevede un caso di attenuazione di responsabilità del professionista, disciplinato all’art. 2236 c.c., in base al quale se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d'opera non risponde dei danni se non in caso di dolo o di colpa grave; ciò significa che deve trattarsi di casi in cui l'impegno intellettuale richiesto è superiore a quello professionale medio, con conseguente presupposizione di preparazione e dispendio di attività anch'esse superiori alla media.
In quest’ultima ipotesi l’onere di provare che si sia trattato di un caso di particolare difficoltà grava sul professionista, mentre al danneggiato spetta dimostrare, sempre, il nesso di causalità tra il danno subito e la condotta posta in essere dal professionista.
OBBLIGO RISARCITORIO
Altra norma fondamentale è l’art. 1218 c.c., che, in materia di obbligazioni, stabilisce che chi non esegue esattamente, in base ai criteri anzidetti, le prestazioni dovute, è tenuto al risarcimento dei danni, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.
Se, pertanto, il medico vuole andare esente da responsabilità, per i danni provocati al paziente nell’esercizio delle proprie funzioni, deve dimostrare in giudizio che essi sono dipesi da fattori esterni; non solo, in base all’art. 1225 c.c. deve trattarsi di danni imprevedibili ed evitabili, altrimenti il medico, nonché la struttura sanitaria, rispondono nei limiti della prevedibilità ed evitabilità.
PREVEDIBILITA’ ED EVITABILITA’ DEL DANNO
Per capire meglio tale concetto riportiamo un’interessante sentenza della Corte di Cassazione, la n. 13328/2015, nella quale i dirigenti delle strutture sanitarie citate in giudizio dal danneggiato, a seguito di un errato intervento chirurgico, avevano eccepito la mancanza di responsabilità dei chirurghi che avevano effettuato l’operazione, in quanto erano intervenute delle “complicanze”, rilevate in primo grado anche dal C.T.U..
Secondo la Suprema Corte con il termine “complicanza”, la medicina clinica e la medicina legale designano solitamente un evento dannoso, insorto nel corso dell’iter terapeutico, che pur essendo astrattamente prevedibile, non sarebbe evitabile.
Tale concetto, chiarisce la Cassazione, è inutile nel campo giuridico: quando, infatti, nel corso dell’esecuzione di un intervento o dopo la conclusione di esso si verifichi un peggioramento delle condizioni del paziente, delle due l’una: - o tale peggioramento era prevedibile ed evitabile, ed in tal caso esso va ascritto a colpa del medico, a nulla rilevando che la statistica clinica lo annoveri in linea teorica tra le “complicanze”; - ovvero tale peggioramento non era prevedibile oppure non era evitabile: ed in tal caso esso integra gli estremi della “causa non imputabile” di cui all’articolo 1218 c.c., a nulla rilevando che la statistica clinica non lo annoveri in linea teorica tra le “complicanze”.
IRRILEVANZA DEL CONCETTO DI COMPLICANZA
La circostanza che un evento indesiderato sia qualificato dalla clinica come “complicanza” non basta a farne di per se’ una “causa non imputabile” ai sensi dell’articolo 1218 c.c.; cosi’ come, all’opposto, eventi non qualificabili come complicanze possono teoricamente costituire casi fortuiti che escludono la colpa del medico.
Ne consegue, sul piano della prova, che nel giudizio di responsabilità tra paziente e medico, se il medico riesce a dimostrare di avere tenuto una condotta conforme alle norme ed alla professione svolta, egli va esente da responsabilità, a nulla rilevando che il danno patito dal paziente rientri o meno nella categoria delle “complicanze”; se, all’opposto, il medico quella prova non riesce a fornirla, allora non gli gioverà la circostanza che l’evento di danno sia in astratto imprevedibile ed inevitabile, giacché quel che rileva è se era prevedibile ed evitabile nel caso concreto.