Responsabilità della p.a. per gli illeciti dei dipendenti

Sul tema della responsabilità civile della pubblica amministrazione, per gli atti illeciti compiuti dai dipendenti nell’esercizio delle loro funzioni, vi sono state, negli anni, oscillazioni interpretative sia in dottrina che in giurisprudenza, che ne hanno di volta in volta ampliato o ridotto l’ambito di applicazione.

LA PRONUNCIA DELLE SEZIONI UNITE

A dirimere il contrasto sono intervenute di recente le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13246 del 16/05/2019, intervenuta a conclusione di un processo iniziato su ricorso di un soggetto che si era visto sottrarre delle somme, depositate presso la cancelleria di un ufficio giudiziario, dal funzionario che le aveva in custodia; per questa ragione la parte danneggiata aveva citato in giudizio sia il funzionario, condannato penalmente per peculato, che, ai fini risarcitori, il Ministero di giustizia.

ART. 28 DELLA COSTITUZIONE

La sentenza delle Sezioni Unite parte dalla considerazione delle norme cui fare riferimento per delineare l’ambito della responsabilità civile della p.a.: innanzitutto l’art. 28 della Costituzione, il quale stabilisce che “i funzionari e dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici”.

ART. 2049 C.C.

Oltre a questa norma, l’art. 2049 del codice civile, rubricato “responsabilità dei padroni e dei committenti”, sancisce che “i padroni e i committenti sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell'esercizio delle incombenze a cui sono adibiti”.

A tali disposizioni le Sezioni Unite fanno riferimento per giungere alla conclusione che lo Stato o l’ente pubblico risponde civilmente del danno cagionato a terzi dal fatto penalmente illecito del dipendente, anche quando questi abbia approfittato delle sue attribuzioni ed agito per finalità esclusivamente personali od egoistiche ed estranee a quelle della amministrazione di appartenenza.

NESSO DI CAUSALITA’

Ciò purchè la sua condotta sia legata da un nesso di occasionalità necessaria con le funzioni o poteri che il dipendente esercita o di cui è titolare, nel senso che la condotta illecita dannosa – e, quale sua conseguenza, il danno ingiusto a terzi – non sarebbe stata possibile, in applicazione del principio di causalità, senza l’esercizio di quelle funzioni o poteri che, per quanto deviato o abusivo od illecito, non ne integrino uno sviluppo oggettivamente anomalo.

In particolare, il nesso di occasionalità necessaria, e la conseguente responsabilità dell’ente, sussiste nella misura in cui le funzioni esercitate dal preposto abbiano determinato, agevolato o reso possibile la realizzazione del fatto lesivo, nel qual caso è irrilevante che il dipendente abbia superato i limiti delle mansioni affidategli, od abbia agito con dolo e per finalità strettamente personali; a condizione però che la condotta del preposto costituisca pur sempre il non imprevedibile sviluppo dello scorretto esercizio delle mansioni, non potendo il preponente essere chiamato a rispondere di un'attività del preposto che non corrisponda, neppure quale degenerazione od eccesso, al normale sviluppo di sequenze di eventi connesse all'espletamento delle sue incombenze (in tal senso anche Cass. 11816/16).

pubblicato il 13/06/2019

A cura di: Daniela D'Agostino

Come valuti questa notizia?
Valutazione: 0/5
(basata su 0 voti)