Dal punto di vista giuridico, chi ha subito un danno cagionato da un medico o da altro personale sanitario nell’esercizio delle proprie funzioni può ricorrere in Tribunale per ottenerne il risarcimento, citando in giudizio i medici ed i responsabili dell’illecito.
Oneri probatori
Per ottenere il risarcimento dei danni subiti, il danneggiato che agisce in giudizio deve in primo luogo dimostrare che tra fatto illecito e danno sussista un nesso di causalità, cioè che l’evento dannoso sia stato determinato proprio dalla condotta tenuta dal responsabile, nel caso specifico dal medico o sanitario.
In secondo luogo è necessario dimostrare di aver subito un danno, quantificandolo, laddove possibile, nei termini di una perdita subita o di un mancato guadagno, voci che compongono il danno patrimoniale.
Accanto a questo tipo di danno vi è il danno biologico, comprendente le lesioni temporanee e permanenti fisiche e psichiche derivanti dal fatto denunciato, nonché il danno morale, cioè la sofferenza interiore ed il patimento subiti a causa dell’evento lesivo.
Di tutte queste voci di danno colui che chiede il risarcimento deve fornire la prova in giudizio, esibendo al giudice la documentazione comprovante la perdita patrimoniale, il danno fisico e/o psichico, il peggioramento della propria vita di relazione a seguito del sinistro, anche ricorrendo a prove testimoniali e perizie mediche.
Responsabilità della struttura sanitaria
La Corte di Cassazione, nella sentenza n.28987/2019, inclusa tra le cosiddette più recenti sentenze “San Martino” (perché pubblicate il giorno 11.11.19) sul tema della responsabilità sanitaria, fa il punto sulla ripartizione della responsabilità tra medico e struttura sanitaria all’interno della quale egli esercita la professione e sull’azione di rivalsa che la struttura sanitaria, citata in giudizio dal danneggiato, può esercitare nei confronti del medico ritenuto dal giudice responsabile del danno.
Dopo aver ripercorso i precedenti orientamenti in materia, la Suprema Corte prospetta tre diverse soluzioni praticabili ipoteticamente, al fine di identificare i limiti quantitativi dell'azione di rivalsa:
a) danno da "malpractice" medica addebitato alla sola struttura, senza diritto di rivalsa nei confronti del medico, quando la condotta degli ausiliari si ritenga inserita, senza deviazioni, nel percorso attuativo dell'obbligazione assunta, collocandosi "tout court" nell'area del rischio dell'impresa sanitaria. Tale soluzione, tuttavia, non è conforme al nostro ordinamento, infatti la legge n. 24 del 2017, all’art. 9 disciplina in modo esplicito la rivalsa della struttura nei confronti del medico responsabile;
b) danno da "malpractice" addebitata, in sede di rivalsa, al solo sanitario nel caso di colpa esclusiva di quest'ultimo nella produzione dell'evento di danno - soluzione oggi significativamente esclusa in modo testuale dalla menzionata riforma del 2017 - con diritto di rivalsa integrale per l'intero importo risarcitorio corrisposto al danneggiato dalla struttura, facendo così ricadere, sia pur indirettamente, l'intera obbligazione risarcitoria sull'operatore sanitario;
c) danno da "malpratice" ripartito tra struttura e medico, anche in ipotesi di colpa esclusiva di quest'ultimo, salvo i casi, del tutto eccezionali, di inescusabilmente grave, del tutto imprevedibile e oggettivamente improbabile devianza da quel programma condiviso di tutela della salute.
Secondo la Cassazione è quest’ultima la soluzione più conforme al nostro ordinamento, cui bisogna attenersi anche per i contenziosi sorti anteriormente alla novella del 2017.
Azione di regresso
Quanto ai limiti dell’azione di regresso, essi variano a seconda della gravità della rispettiva colpa e dell'entità delle conseguenze che ne sono derivate; a tal proposito l'art. 2055 c.c. detta una presunzione di pari contribuzione al danno da parte dei condebitori solidali, che impone al soggetto adempiente di provare la diversa misura delle colpe e della derivazione causale del sinistro.
L'art. 1298 c.c., inoltre, detta la regola secondo la quale l'obbligazione in solido si divide tra i diversi debitori in parti che si presumono eguali; la Corte, infatti, rileva come il medico operi pur sempre nel contesto dei servizi resi dalla struttura presso cui svolge l'attività, che sia stabile o saltuaria, per cui la sua condotta negligente non può essere separata dal più ampio complesso delle scelte organizzative, di politica sanitaria e di razionalizzazione dei propri servizi operate dalla struttura, di cui il medico stesso è parte integrante.
Per ritenere superata la presunzione di divisione paritaria "pro quota" dell'obbligazione solidale evincibile, quale principio generale, dagli artt. 1298 e 2055, cod. civ., non basta, pertanto, escludere la corresponsabilità della struttura sanitaria sulla base della considerazione che l'inadempimento fosse ascrivibile alla condotta del medico, sicché sarà onere del soggetto adempiente dimostrare non soltanto la colpa esclusiva del medico, ma la derivazione causale dell'evento dannoso da una condotta del tutto dissonante rispetto al piano dell'ordinaria prestazione dei servizi sanitari.
Ripartizione di responsabilità in parti uguali
Alla luce di tali argomentazioni la Cassazione afferma il principio secondo cui «in tema di danni da
"malpractice" medica nel regime anteriore alla legge n. 24 del 2017, nell'ipotesi di colpa esclusiva del medico la responsabilità dev'essere paritariamente ripartita tra struttura e sanitario, nei conseguenti rapporti tra gli stessi, eccetto che negli eccezionali casi d'inescusabilmente grave, del tutto imprevedibile e oggettivamente improbabile devianza dal programma condiviso di tutela della salute cui la struttura risulti essersi obbligata.
Principio che la successiva legge 24/2017 ha codificato, consentendone l’applicazione anche ai contenziosi sorti dopo l’entrata in vigore della medesima legge.