Con una recente ordinanza, la n. 13006/2019, la Corte di Cassazione torna ad occuparsi del valore probatorio delle buste paga, per quanto riguarda i crediti maturati dal lavoratore nell’ambito del rapporto di lavoro, con particolare riferimento alle ipotesi di fallimento del datore di lavoro.
LEGISLAZIONE IN MATERIA
I giudici di legittimità analizzano dapprima il contesto normativo e giurisprudenziale di riferimento, partendo dalla considerazione della legge 6 agosto 2008 n. 113, che stabilisce l’obbligo, per il datore, di tenuta del “libro unico del lavoro” (l.u.l.), i cui dati vengono trasposti nelle buste paga consegnate al lavoratore.
In particolare, l’art. 39 del d.l. n. 112/2008, convertito nella suddetta legge, prevede che nel l.u.l. debbano essere indicati, per ciascun lavoratore, i dati anagrafici, il codice fiscale, il livello di inquadramento contrattuale, le mansioni svolte, il contratto collettivo di riferimento, l’orario di lavoro, compresi gli straordinari effettuati; devono, inoltre, essere annotate tutte le voci relative alla retribuzione, agli emolumenti percepiti, alle ferie ed altri periodi di astensione dal lavoro, ai contributi previdenziali.
CORRISPONDENZA DELLE BUSTE PAGA CON IL L.U.L.
Il datore, inoltre, in base alla legge n. 4/53, richiamata dal predetto decreto, è tenuto a consegnare al lavoratore la busta paga, i cui dati devono corrispondere a quelli riportati nel l.u.l.
Secondo la consolidata giurisprudenza della Cassazione, richiamata nella massima oggi in esame, le copie delle buste paga rilasciate dal datore al lavoratore, ove munite dei requisiti prescritti dall’art.1 comma 2 della legge n. 4/53 (timbro o firma o sigla del datore) hanno piena efficacia probatoria nel procedimento che segue al fallimento del datore di lavoro.
Ciò salvo contestazioni da parte del curatore fallimentare, il quale possa dimostrare che il l.u.l. non sia stato regolarmente compilato dal datore o che i dati ivi contenuti non corrispondano alla realtà.
PROCEDURA FALLIMENTARE
A tal proposito, ricordiamo che, chiunque voglia far valere un proprio credito nei confronti dell’imprenditore fallito può presentare al curatore fallimentare istanza di ammissione al passivo; questa sarà esaminata dal Giudice Delegato, il quale, sentito il curatore, deciderà di ammettere oppure rigettare l’istanza.
In caso di rigetto, il creditore, nei trenta giorni successivi alla comunicazione del provvedimento del giudice, può proporre opposizione, dando luogo ad un’ulteriore fase processuale, al termine della quale il Tribunale deciderà definitivamente se consentire o meno l’insinuazione al passivo del credito.
Questo tipo di procedura si applica a qualsiasi tipo di credito, qualunque sia la natura, dunque anche ai crediti maturati nel corso di un rapporto di lavoro subordinato, purchè il lavoratore sia un soggetto privato; è esclusa, infatti, la fallibilità degli enti pubblici.
DOCUMENTI PROBATORI
All’istanza di ammissione il creditore deve allegare i documenti che attestano il credito di cui si chiede l’ammissione; nel caso specifico del lavoratore fanno fede il contratto di lavoro e le buste paga, oltre eventuali altri documenti inerenti il rapporto.
Tali allegazioni devono ritenersi ammissibili anche a sostegno della domanda per straordinari, ferie e ogni altra voce risultante dalla busta paga, nei limiti rilevati dalla Corte di Cassazione, salvo cioè, contestazioni da parte della curatela.